Intervista a Sergio Pellissier

Non si diventa bandiera per caso
Non si diventa una bandiera, un simbolo, un’icona per caso. Capitano, detiene il record di presenze e di gol, con 506 gettoni conditi da 137 centri (sulle 618 presenze e 173 reti in carriera). Numeri pazzeschi. Stiamo parlando di Sergio Pellissier, maglia numero 31 del Chievo Verona, una delle ultime vere e proprie bandiere del calcio italiano, insieme a Totti, Zanetti, Marchisio e pochi altri che dell’attaccamento alla maglia hanno fatto qualcosa in più di una semplice dichiarazione di circostanza.
Sergio Pellissier, aostano classe ‘79, sa che cosa vuol dire uscire di casa a 11 anni e fare la gavetta, quella dura, per arrivare al calcio che conta, fino a realizzare il sogno di tutti i bambini, indossare la maglia azzurra della Nazionale. Tutta la trafila nelle giovanili del Toro sotto lo sguardo protettivo di Franco Melotti, per poi essere “scaricato” ai clivensi alle buste, le serie minori e il calcio di provincia al Varese e alla Spal, fino all’affermazione come icona e simbolo del miracolo Chievo, un quartiere di Verona che grazie alla programmazione e alla serietà è ormai una presenza fissa della massima serie italiana, una mosca bianca in mezzo ai colossi metropolitani.
“Per diventare un calciatore professionista – spiega Pellissier – servono tante componenti. Prima di tutto, la qualità, perché se non ne hai difficilmente puoi fare il calciatore. Arrivano in alto anche giocatori con meno qualità, però hanno testa e fisico fuori dal comune, in serie A ce ne sono tanti esempi. Uno su tutti è Chiellini, che magari non è eccelso con i piedi, ma oltre il fisico ha una testa straordinaria, intelligenza e attenzione oltre la media, e così è diventato uno dei difensori più forti d’Italia. La testa, infatti, è il secondo elemento fondamentale, soprattutto se non sei un fenomeno con i piedi. La testa e il carattere, perché non è semplice arrivare, ma ancora più difficile è rimanere a certi livelli. Non ultima, serve la fortuna, ovvero trovare un allenatore che crede in te, avere le occasioni di mettersi in mostra al momento giusto e sfruttarle appieno. Se non riesci tu, dietro ce ne sono molti altri…”
Il carattere e l’orgoglio hai dovuto tirarli fuori fin da subito, perché andare via di casa a 11 anni non è facile. “Ho fatto uno stage, mi hanno selezionato e già a 11 anni sono entrato al Toro, dove ho fatto tutta la trafila, dagli Esordienti alla Prima squadra. Ci sono stati tanti momenti difficili, ma mi ha aiutato molto avere alle spalle una famiglia attenta ma tranquilla, ed essere un ragazzo senza grilli per la testa: non fumavo e non bevevo, mi concedevo poche uscite, invece in quegli anni ne ho visti tanti di giocatori e di ragazzi che si sono persi perché mettevano altre cose davanti al calcio”.
Ti avranno aiutato anche i tuoi allenatori: quali sono stati quelli fondamentali, negli anni delle giovanili? “Beh sono tanti quelli che devo ringraziare, per quegli anni di formazione. Giorgio Tonino, che mi ha scelto la prima volta per il Torino, Sergio Fantinuoli, che mi ha riportato al Toro quando volevo tornare a casa. E Claudio Sala: all’inizio sembrava che mi odiasse, poi ci siamo capiti e abbiamo fatto un anno straordinario, con la vittoria a Viareggio e la chiamata in Prima squadra. Sono tanti gli allenatori che mi hanno fatto crescere, si impara sempre da tutti. Un personaggio fondamentale è stato Franco Melotti. Quando a 14 anni sono tornato a Torino, lui ci faceva da tutor, ci guardava e ci dava una mano nelle questioni di tutti i giorni, e ci dava consigli importanti. Soprattutto negli ultimi anni del Settore giovanile, quando l’imbuto della selezione si stringe progressivamente e la maggior parte dei ragazzi che sono cresciuti con te esce dal giro, avere intorno le persone giuste che ti aiutino nelle scelte, come ha fatto Franco Melotti con me, è fondamentale”.
Finalmente, il salto dal Settore giovanile al mondo dei grandi. Anche questo, un passaggio tutt’altro che facile. “Dopo aver fatto tutta la trafila del Toro, mi è dispiaciuto non esordire in serie A con la maglia granata: prima sono stato dato in prestito al Varese, poi mi hanno scaricato. Ci sono rimasto molto male, ma io sono molto orgoglioso, penso di aver costruito una carriera di alto profilo perché sono così a livello caratteriale: se uno mi attacca, reagisco. Non essere considerato dal Torino, che alle buste mi ha lasciato al Chievo senza mettere un soldo, dopo anni di sacrifici e sudore, mi ha dato molto fastidio ma è stato anche uno stimolo a dimostrare che io me la meritavo, la serie A. Con il senno di poi, magari è stata la mia fortuna, perché se non fossi andato via non avrei fatto la carriera che ho fatto”.
Infatti dopo un altro prestito ricco di soddisfazioni alla Spal, Pellissier ha iniziato la sua decennale carriera con la maglia del Chievo, di cui presto è diventato bomber, simbolo e capitano. “È una società che, nel suo piccolo, ha sempre fatto cose straordinarie, io ci vivo come in una famiglia. Altre società hanno soldi, pubblicità, pubblico, televisioni, noi otteniamo risultati grandiosi senza avere niente di tutto questo: qui se vinci è perché te lo sei meritato pienamente, e la nostra vittoria è la salvezza, quando la ottieni ti togli un peso immenso, perché se retrocedi cambia tutto e in una realtà come la nostra rischi di non avere più la forza di tornare su. Mi è già successo, so quanto è dura retrocedere, e anche se quella volta siamo riusciti a riconquistare subito la serie A, spero di non dover mai più vivere quella delusione”.
Anche se l’anno della serie B, con la scelta di rimanere e i tuoi 22 gol a timbrare il repentino ritorno nella massima serie, è stato forse quello che ti ha legato a doppia mandata a quella maglia. “Sono orgoglioso, ti dicevo: retrocedere mi ha dato fastidio, e allora ho cercato di capire il motivo e ho voluto subito rifarmi. Il Chievo non voleva darmi via, e io volevo dimostrare che non meritavamo la serie B: devi avere dentro il fuoco dell’ambizione, se vuoi raggiungere obiettivi importanti”.
Se la retrocessione è stato il momento più difficile e spiacevole, con la maglia del Chievo hai raggiunto anche vette impensabili, come giocare le coppe europee, compresi i preliminari di Champions League, nell’anno di calciopoli e del quarto posto. “Beh eravamo forti, avevamo giocatori importanti come Amauri, uno che fa ancora la differenza ma allora era in piena ascesa, e quando vinci sei più contento, prendi fiducia e vinci ancora di più. è stato davvero emozionante, direi impagabile portare in Europa una realtà di quartiere come quella del Chievo, e fare anche una bella figura”.
Ormai sei una sorta di “chioccia” per i giovani calciatori. “È fondamentale per i giovani la voglia di migliorarsi e la capacità di chiedere consigli ai più esperti, come me: è questo che fa crescere le persone e i calciatori, l’umiltà di ascoltare e prendere il meglio dagli altri. E la capacità di capire i propri errori e cercare di correggerli: sbaglio io che ho più di 20 anni di campo sulle spalle, mentre ci sono ragazzi della Primavera che pensano di non sbagliare mai…”
Nella tua carriera tutta vissuta in provincia c’è anche una presenza in Nazionale, per di più condita da un gol. In quel caso, la tua occasione l’hai sfruttata al meglio, ma non se n’è ripresentata un’altra. Va bene così o c’è un po’ di delusione? “È giusto così perché ci sono giocatori più forti di me. Io sono stato fortunato e ringrazio mister Lippi perché mi ha dato questo premio, ma io so di non essere da nazionale. Non trovo giusto convocare un giocatore perché ha fatto due mesi alla grande, uno deve avere tutta una carriera che gli faccia meritare la maglia della nazionale, e infatti solo i gruppi consolidati sono quelli che poi riescono a vincere. Ripeto, io sono contentissimo di esserci andato, è stata la realizzazione di un sogno e un grande regalo a coronamento della mia carriera, ma la nazionale è per altri”.
Un’umiltà straordinaria, da grande uomo, più che da grande calciatore. “Non è umiltà, ma consapevolezza dei propri limiti, io non sono Cristiano Ronaldo (e qui ci scappa una gustosa risata, ndr), ma sono anche la dimostrazione che i sogni possono avverarsi, se uno ci crede veramente e lavora tutti i giorni per realizzarli”.
E il futuro cosa riserva a Sergio Pellissier, magari una panchina? “Voglio giocare finché mi diverto e magari fare ancora qualche golletto, ma bisogna avere anche fortuna per segnare. Quando avrò smesso di giocare, sinceramente, non so. Il mondo del calcio ha tanti aspetti brutti, è vero, ma anche altrettanti belli, e poi è il mio mondo. Io mi auguro di rimanerci, ma non so se farò l’allenatore, non so se ne sono portato”.
La saggezza, oltre alla classe, c’è tutta, per fare di Sergio Pellissier un vero “maestro” di calcio anche fuori dal rettangolo verde.
Carriera da bomber
Sergio Pellissier (Aosta, 12 aprile 1979), attaccante e capitano del Chievo Verona, detiene il primato di presenze in serie A e anche in tutte le competizioni, è primatista per numero di gol nella massima serie e il secondo in assoluto: in tutto vanta 137 reti in più di 500 presenze con i clivensi
Cresciuto nelle giovanili del Torino (con cui vinse anche un torneo di Viareggio), esordisce in serie B nel 1997 contro la Salernitana, ma in granata non arriverà mai in serie A. Nel ‘98 va in prestito al Varese in C1 (52 presenze e 9 gol in due stagioni). Nel 2000 il Chievo Verona lo riscatta alle buste dal Toro e lo gira subito alla Spal, di nuovo in prestito: 17 reti in 44 gare. Dalla stagione 2002/2003 entra stabilmente nella rosa del Chievo Verona, e non ne uscirà più. Nella sua prima stagione in serie A colleziona 5 gol in 25 presenze, negli anni successivi mantiene una media realizzativa costante: i suoi gol saranno 3, 7, 13, 9, ben 22 nell’unica stagione di serie B, poi ancora 13, 11, 11, 8, 5, 1, 7, 5, 9, 1 e altri due nella stagione in corso. In seguito a Calciopoli e al conseguente quarto posto del Chievo, nella stagione 2006-2007 realizza le sue uniche tre presenze in Europa, ma alla fine di quella incredibile stagione retrocede in serie B: Pellissier rimane, diventa capitano e trascina la squadra alla vittoria del campionato cadetto. In Nazionale, una presenza e un gol, nell’amichevole del 6 giugno 2009 contro l’Irlanda del Nord.